La decollazione nel Medioevo


Decapitazione di Corradino di Svevia

Le armi di “giustizia”. La decollazione nel Medioevo di Corrado Tomaselli

Le armi bianche hanno avuto fin dalla notte dei tempi una naturale applicazione nell’ambito della condanna giuridica.
Fino dagli inizi dell’epoca del bronzo sappiamo che l’ASCIA BIPENNE, utilizzata nelle decapitazioni rituali (veniva identificata con il fulmine del cielo non solo per la rapidità dell’azione) sicuramente per la sacralità del gesto che andava a compiere; la realizzazione di un giudizio e sotto lo sguardo della divinità.
Nei secoli successivi le armi immanicate da taglio rimangono le armi preferite per un certo tipo di condanna e con l’avvento delle armi di ferro la spada incomincia ad essere utilizzata per questo scopo senza mai sostituire totalmente la scure o l’ascia.
Un altro tipo di arma, sicuramente più da sacrificio che da condanna giuridica, anche se per le società arcaiche la differenza è piuttosto minima, è il pugnale REMEDELLIANO, pugnali a lama triangolare molto corti con un pomo a mezzaluna utilizzato come impugnatura che avevano lo scopo di recidere il midollo attraverso le vertebre cervicali, forma di sacrificio che troviamo anche nell’arena gladiatoria nei confronti del gladiatore sconfitto. Già dall’epoca imperiale romana la spada viene utilizzata ampiamente, per le decollazioni, ma è con l’avvento della spatha da cavallo e nell’epoca medioevale che la spada ad una mano diventa l’arma principale per la decapitazione del condannato.
L’arte delle armi diventa un fattore di estrema importanza anche per il boia che si trovava a dover colpire preciso e con perfetto risultato solo con una opportunità.

Le tecniche di addestramento non erano differenti da quelle utilizzate da uomini d’armi o cavalieri, l’uso perfetto nell’uso della spada per colpire di taglio permetteva anche di poter effettuare decapitazioni. Nei domini mamelucchi l’uso della scimitarra per la decollazione fu utilizzata ancora fino alla metà del XIX secolo per non parlare del regno Saudita dove ancora oggi questa pratica è in uso.
Proprio dalla testimonianza di soldati francesi, che assistettero ad una condanna per decapitazione nell’Egitto mamelucco, ci vengono spiegate le tecniche di addestramento a tale abilissima pratica da parte di questo ordine cavalleresco nato nell’epoca delle crociate, e rigorosamente conservatore delle sue regole ed abitudini fino alla sua soppressione, che non ci vieta di pensare che le stesse tecniche di addestramento, o simili, fossero utilizzate anche dalla cavalleria medioevale dell’occidente per apprendere un movimento meccanico sicuro e perfetto per non fallire nel momento della sua applicazione.
Nelle parole del Marchionni sentiamo la testimonianza sull’episodio delle tecniche di addestramento mamelucche: ”Lo stupendo effetto che trassero e traggono i Mussulmani dall’arme bianca si è voluto in gran parte attribuire all’eccellenza delle loro lame; ma da moltissimi fatti resulta, che è più opera della destrezza con cui sono maneggiate, che della bontà dell’arme. Vari fatti vengono riportati dal Sig. cav. Chatelain ufiziale superiore di cavalleria in una nota al suo – Traitè d’Escrime – Parigi 1818; noteremo i seguenti:
Si è visto, dic’egli, dei Mamelucchi tagliare la testa a dei piccoli bufali con un solo colpo di sciabola; e dei Francesi, che si credevano abilissimi, non poter colle stesse sciabole tagliarle in tre colpi… L’altro fatto si è che a un Turco, incaricato di tagliar la testa a 17 Arabi che avevano rubato delle armi a’ soldati Francesi, avendo dato un colpo in falso nella prima esecuzione, si ruppe l’arme. E siccome questo caso poteva fargli perdere l’impiego, esponendolo inoltre ad una rigorosa punizione, questo Turco prese la sciabola (Briquet, sciabola d’infanteria) del caporale della scorta, di nazione Francese, e tagliò le altre 16 teste colpo colpo. Tal fatto accadde sulla piazza di Alessandria alla presenza di più di 600 Francesi.
Ciò senza dubbio sta a dimostrare che più per l’abilità che per l’eccellenza delle loro scimitarre i Mussulmani sono da reputarsi valentissimi nei combattimenti ad arme bianca. Ed è poi indubitato che sopra ogni altro riescono eccellenti i Mamelucchi, i quali usano un metodo particolare ed un assiduo studio nel maneggio delle scimitarre.

 

Decapitazione per mezzo di una spada, dalla Cosmographia universalis di Sebastian Münster (1544)

Essi, come dice lo stesso Chatelain, continuamente si esercitano nell’uso delle loro armi; ed allorchè sono giunti a conoscere tutte le parate, il loro studio è rivolto al taglio della testa correndo a cavallo. Ma ciò che merita essere ricordato, è il sistema da essi tenuto per imparare a ferire con destrezza, con agilità e in ogni modo, che le loro armi producano il più grande effetto. Per così fatto esercizio sospendono ad un albero, o ad una colonna di legno, uno scialle di musselina ripiegato in due parti e bagnato. Il Mamalucco, movendosi al galoppo, vibra un colpo di scimitarra ritirando a sé il pugno, e deve così dividere in due parti lo scialle senza alcun altro appoggio, e senzachè quello faccia gran movimento” [Marchionni Alberto, Trattato di scherma sopra un nuovo sistema di giuoco misto di scuola italiana e francese, pag.11 n**, Firenze 1847 ].
La testimonianza ci dimostra che l’occidente, pur conservando l’uso di sciabole da colpi di taglio ma da cavallo, aveva nel corso dei secoli perso completamente l’arte della spada antica e da guerra come fino al XVII secolo ancora si trovava sui campi di battaglia d’Europa.
Il mondo islamico, in questo caso, conservò grazie al suo tradizionalismo una interessantissima prova dell’utilizzo delle armi bianche nel medioevo.

Proprio fino a tutto il XVI secolo la spada in Europa verrà usata come strumento per l’esecuzione delle decapitazioni. Lo dimostrano moltissime rappresentazioni, sia affreschi sia tele, di martirii di santi, dove viene rappresentata la decapitazione tramite la spada ad una mano.
Si vede in maniera evidente che il colpo inferto era un colpo manco o riverso, un colpo da sinistra a destra, per i destrorsi, e più precisamente un colpo Schiso o Sgualembro* (colpo dall’alto verso il basso dato in maniera trasversale partendo da un lato per finire all’altro) senza alcun punto di appoggio, come l’addestramento Mamelucco, colpendo con un colpo solo deciso e preciso.
Il condannato restava inginocchiato e con il busto e la testa eretti,non appoggiava il collo su un tronco o cippo di legno.

Caravaggio, Giuditta che taglia la testa a Oloferne (1598-1599)

Dal XV secolo in poi, e soprattutto in area transalpina (Fiandre, Germania), la spada ad una mano verrà sostituita con quella a due mani e spesso senza punta.
La dinamica dell’esecuzione non cambierà, il colpo sarà sempre lo Sgualembro o Schiso riverso o manco, ma effettuato con le due mani sull’impugnatura della spada, distanziate adeguatamente per permettere alle spalle ed alle braccia di caricare un colpo veloce, preciso e perfettamente efficace.
E’ interessante notare come l’esecutore della decapitazione dia le spalle al condannato proprio per effettuare questo colpo e caricarlo meglio.
Si può immaginare l’esigenza di abilità e precisione per svolgere questo compito.
Dal XVII secolo in poi la decapitazione sarà svolta esclusivamente dall’ascia, che caricata sopra la testa e lasciata scendere per caduta, aiutata dal grande peso della scure stessa, permetterà un taglio netto sul collo del condannato, che appoggiato su un cippo di legno, (assomiglia più ad una azione da taglialegna o boscaiolo) renderà l’operazione molto più semplice anche per chi non saprebbe maneggiare adeguatamente una spada.
Da quest’ultimo tipo di decollazione fino alla ghigliottina il passo sarà breve e ovviamente conseguente.
Un’altra forma di condanna a morte, riservata esclusivamente all’aristocrazia, consisteva nello sgozzamento.
Questo veniva eseguito incidendo un lato della gola del giustiziato recidendo la carotide e la giugulare per passare, tagliando la gola, fino al lato opposto.

Le armi preposte a questa condanna erano un coltello o un pugnale, genericamente così citati nelle cronache dell’epoca, tra il XV ed il XVI secolo quest’arma prese il nome di CINQUEDEA, nome derivante forse dalle cinque dita della mano che stavano a simboleggiare o la mano che la impugnava o la mano della giustizia.
Questa era una tipica arma manesca di ambiente civile di medie dimensioni, con la lama molto larga che si restringe velocemente per finire bruscamente in punta come una specie di triangolo. Il fornimento è a bracci arcuati e di tipica produzione veneto-emiliana.

Decollazione di Giovanni, Battistero di Parma

L’impugnatura decorata con materiali ricercati (avorio, osso, etc.) rende quest’arma estranea all’uso militare, inoltre la lama, sempre di pregevole fattura, è sempre decorata in oro e nelle tecniche più varie.
La lama è spesso incisa con motti o immagini di scene tratte dall’antico testamento e rappresentanti episodi legati alla giustizia” [Corrado Tomaselli Dell’Arte Gladiatoria, pag. 81, Genova 2013]

Sembra che dopo il XVI secolo sia decaduto questo tipo di condanna capitale che vede nella Cinquedea, appunto, forse l’ultimo strumento di esecuzione che dopo la metà del ‘500 non troveremo più utilizzata.
C’è forse un lungo filo che può collegare, intendo tecnicamente, l’antico pugnale Remedelliano e la Cinquedea?
Posso solo affermare che l’arte delle armi, fino alla sua naturale estinzione, ha mantenuto, in tutti i campi, usi e costumi invariati nel corso dei millenni.
Risulta perciò utilissima, conoscendola appropriatamente, per gli studi delle epoche passate e per comprendere meglio il “quotidiano” della storia .
* Schiso,è termine in uso già dal medioevo di area senese. Sgualembro è termine di area bolognese presente su trattati di Arte delle armi del XV e XVI secolo.

 

Pubblicato su Italia Medievale il 4 Settembre 2018